Basket: 3°episodio de “I cinni del ’90”

Campionato Propaganda 2001/2002

Così, a metà di un caldo settembre, io e Alberto Gessi iniziammo la nuova avventura. Stavo finalmente ritrovando un periodo di tranquillità, dal punto di vista personale e lavorativo. Come già accennato, avevo da poco lasciato la scomoda filiale di Porretta Terme per passare a dirigere quella di San Giorgio di Piano: sempre in provincia, ma con molte più comodità logistiche. E in famiglia le cose si stavano mettendo al meglio. Per quanto riguardava il basket, però, pur avendo come unico compito quello di allenare un gruppo di ragazzini per un’ora e mezza tre volte alla settimana, e pur potendo contare su un collaboratore come Alberto (una sicurezza sia per i rapporti personali sia dal punto di vista tecnico), dovevo ancora “entrare” mentalmente nel ruolo di allenatore di minibasket.

Anche per questa ragione, nei primi allenamenti ci concentrammo sulla verifica di quello che avevamo a disposizione, dal punto di vista tecnico e caratteriale. Subito avemmo la conferma che tutto ciò che di buono ci avevano detto su questi ragazzi era vero: c’erano entusiasmo e voglia di stare in palestra, e soprattutto un sano e positivo spirito competitivo. Per quest’ultimo aspetto, prendemmo come riferimento Gabbino Romagnoli, il ragazzino di colore. Di poche parole, ma già con una forte personalità (anzi, a volte con “troppa” personalità) e un talento che non ricordavo di aver mai notato in un ragazzino di undici anni nella mia ormai ventennale carriera da allenatore di pallacanestro. Il primo mese e mezzo lo dedicammo allo studio reciproco di istruttori/allenatori e adolescenti/giocatori, come animali che si osservano per capire chi riconoscere come “capobranco”. In allenamento, ci aiutò molto il voler coinvolgere Gabbino in diverse occasioni: lui era e rimase il capobranco “ufficiale”, per così dire (anche se successivamente, in diverse situazioni importanti, la leadership sarebbe stata assunta a turno anche da altri). La risposta nell’apprendimento fu più che discreta, e coinvolse oltre il 50% della squadra. Se la cosa mi faceva allora molto piacere, oggi mi conduce a considerazioni ancora più positive su quei ragazzi. Come ormai avrete capito, il vero manager della sezione basket di quei tempi era da individuare nel buon Goffredo (Gollini): «Te l’avevo detto che sono bravini questi cinni, e vedrai che miglioreranno ancora. Anzi, se riuscissero a imparare a difendere il prima possibile, vedrai, ci saranno sorprese positive. Dammi retta, in queste categorie la differenza la fa la difesa». Ancora una volta il buon Goffredo riuscì a spiazzarmi. “Ma come, la difesa!” pensai. “Sono così giovani! I sacri testi dicono che l’80/90% degli allenamenti deve essere impostato sui fondamentali offensivi individuali e di squadra…” Ma a questo punto non osai controbattere. Feci bene, con il senno di poi. Adattai gli allenamenti successivi riducendo la parte offensiva, portando la parte difensiva al 50%. Risultato: aumentò l’intensità degli allenamenti, l’attenzione e la competitività dei ragazzi, in particolare di chi voleva emergere – come Carnevali, Menarini, Bendini e Gabbone Fin. Quest’ultimo, in pochi mesi migliorò moltissimo, divenendo, con Gabbino Romagnoli e Menarini, uno dei nostri punti saldi.

Prime partite amichevoli

Eravamo intorno alla metà di ottobre, se ricordo bene. Il campionato Propaganda Competitivo stava per iniziare (primo week-end di novembre), quando pensammo fosse giunta l’ora di una prima amichevole per verificare il lavoro fatto fino ad allora; oltre che, non lo nascondo, per soddisfare la curiosità di vedere i ragazzi all’opera. Trovai la disponibilità di Ettore Zuccheri (guru del basket giovanile bolognese e italiano), che allora allenava un gruppo ’90 della squadra di Castel Maggiore. Dalle informazioni ricevute, doveva essere un gruppo tecnicamente di buon livello. E poi, diciamola tutta, con alla guida un così prestigioso allenatore! Non avremmo potuto chiedere di meglio, per un test probante. Giocammo nella palestra scolastica di Castel Maggiore in un freddo giorno di ottobre. Non ero mai stato in quella palestra, per cui la trovai con un po’ di fatica. Assorto nei miei pensieri, parcheggiai la macchina e mi diressi verso l’ingresso senza far caso alle persone presenti in quel momento. Anzi, una volta dentro, raggiunsi frettolosamente gli spogliatoi dove erano i ragazzi. Entrai salutandoli e parlai subito con Fernando Rota, il nuovo dirigente accompagnatore assegnatomi da Gollini (fu la prima di una lunga serie di chiacchierate). Quando i ragazzi furono pronti, feci il mio discorsetto pre-partita, e alla fine facemmo tutti insieme l’urlo propiziatorio, abitudine non solo dalle squadre di basket: dissi, ad alta voce, «Ponte…»; e loro, tutti insieme, gridarono «Vecchio!». Entrammo in palestra: solo a quel punto, con notevole sorpresa, mi resi conto di trovarmi di fronte a una muraglia umana. Erano i famosi genitori dei ’90. Certo, qualcuno di loro l’avevo già visto agli allenamenti, ma mai tutti insieme. C’erano proprio tutti: mamme, papà e addirittura nonni (nonno Suppini e nonno Bendini per la famiglia Bendini, nonno Fin e il nonno di Leo Menarini). “Cazzarola! Tutto questo per un’amichevole? Chissà allora per le partite ufficiali cosa potrà succedere!”. Da quel giorno, le famiglie divennero, a loro modo, parte integrante e fondamentale del gruppo ’90 Pontevecchio. Non lo sapevo ancora. Vincemmo la partita, praticamente stracciando gli avversari con uno scarto di molti punti; soprattutto, con una supremazia tecnica singola e di squadra così marcata che a fine partita Zuccheri mi disse: «Ma da dove spuntano tutti questi ragazzi? Li avete nascosti per poi venire qui a farmi fare brutta figura con i miei?». Quale complimento, da uno che consideravo e considero tuttora uno dei migliori allenatori giovanili! Circa una settimana dopo, il responsabile minibasket della allora Moto Malaguti di San Lazzaro, mi chiese di poter fare un’amichevole da noi alle Pertini, come ultimo test per il suo gruppo di pari età prima dell’inizio del campionato. Acconsentii, e stabilimmo giorno e ora. A questo punto dovrei inoltrarmi in un lungo discorso sulle problematiche che esistevano e purtroppo persistono fra le società di basket a Bologna e provincia, e in particolare tra la Pontevecchio e San Lazzaro (oggi BSL, acronimo di Basket Save my Life): diciamo che non correvano buoni rapporti di vicinato. Loro, “i migliori” in tutto; noi, “gli sfigati”, che fanno le cose benino, ma mai quanto loro. Al tempo, erano la società emergente del settore giovanile, mentre noi eravamo quelli che non riuscivano mai a creare un gruppo che facesse un campionato Eccellenza o Élite. Tra la loro sede e la nostra, in linea d’aria, neanche un chilometro: detto tutto. Ma torniamo a noi. Credo che i ragazzi di San Lazzaro questa amichevole se la siano ricordata per molto tempo, e sono certo sia tornata loro in mente soprattutto in campionato, nelle successive due volte che giocammo gli uni contro gli altri. La nostra difesa fu così efficace che in molti frangenti gli avversari non riuscirono a superare la metà campo. Questo ci portò al recupero di moltissime palle, da poter poi trasformare in facili canestri. Molto bravi i terribili “piccolini” Carnevali, Menarini, Bendini e Romagnoli (che non vedeva l’ora di sfogare il suo talento offensivo). Si stava facendo strada in me la convinzione che, dopo tanti anni di lavoro in palestra con categorie senior e junior, avessi finalmente per le mani un gruppo di ragazzi quantomeno “speciali” da formare.

Partite di campionato regolare

Iniziammo il campionato Primo Anno Propaganda (equivalente dell’Esordienti del minibasket di oggi) a metà novembre 2001, e finimmo la stagione regolare a metà maggio 2002. Giocammo 14 partite di campionato vincendole tutte, con scarti sempre superiori alle due cifre. Nessuna squadra avversaria ci impensierì più di tanto. La cosa comunque più importante e interessante di questo periodo fu il fatto che in nessuna partita i ragazzi si dimostrarono supponenti o scorretti nei confronti degli avversari. Più giocavano e si allenavano e più la loro autostima cresceva. E se per alcuni di loro era ancora lontano il pensiero di diventare un giocatore di basket, vincere divertendosi, nonostante le mie sempre più “pressanti” richieste tecniche e mentali, era diventato il loro consapevole obbiettivo primario. La caratteristica che ci distingueva dalle altre squadre, oltre al talento già evidentissimo di Gabbino, era la sempre più spiccata predisposizione al gioco di squadra – non facile da trovare in compagini composte da ragazzi di quell’età. Soprattutto, per l’utilizzo frequente del fondamentale del passaggio, che ci portava facilmente a conclusioni sotto canestro.

Continua..

Nel prossimo episodio: Le Finali Propaganda ‘90

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