Basket: puntata finale de “i cinni del ’90” (ultima parte)

La finalissima

La vigilia.

Con la vittoria sulla Benetton eravamo diventati la nuova squadra da battere, i favoriti assoluti alla conquista del titolo. La persona che prima di tutti volle farci presente questa novità, fu un dirigente della squadra del Pordenone che, dopo avere assistito alla nostra prova in semifinale, si fece largo nella confusione del dopo partita esclamando a gran voce:
«Scusate, fatemi passare! Voglio essere io il primo a stringere la mano all’allenatore dei futuri campioni d’Italia!».

A questa affermazione non seppi che rispondere “Grazie!”,
frastornato com’ero per il risultato appena ottenuto, mentre venivo letteralmente travolto dagli abbracci e dalle pacche sulle spalle. In quei momenti d’assedio mi resi conto che la polo granata di rappresentanza che indossavo, divenuta bagnata e maleodorante per la fatica, oltre a confermarsi un buon portafortuna, stava svolgendo egregiamente la funzione di corazza protettiva. Dopo una buona quarantina di minuti di esultanza collettiva, mi tornarono in mente le parole del dirigente. Il mio oramai fraterno compagno d’avventura Fernando mi rivelò che l’uomo che si era congratulato con me era l’accompagnatore della squadra del Pordenone, e che lui e i suoi giocatori avevano seguito la nostra partita sostenendoci con il loro tifo.

«Ha pienamente ragione» aggiunse Fernando, «Lello, ma ci pensi? Siamo fra le prime due… e noi siamo i favoriti. Non ci può fermare più nessuno!». Detto questo, mi abbracciò per l’ennesima volta. Mi ricomposi e raggiunsi Gessi per assistere alla semifinale che sarebbe iniziata di lì a poco e che ci avrebbe rivelato il nome della nostra ultima avversaria. Prendemmo appunti per tutta la durata della partita, conclusasi con la vittoria della Robur et Fides sulla Virtus Siena di Rullo. Ecco la sfidante. «Oh! Ma questi fanno parecchi canestri da tre punti!» osservò preoccupato Gessi. «Anche noi» gli risposi, e ci incamminammo verso il camper dei Monari per continuare la festa.
Quella notte dormii come un ghiro, smaltendo tutta la stanchezza accumulata sin dal giorno prima. Mi svegliai solo verso le nove di mattina e, come molti dei nostri, andai a far colazione un po’ più tardi del solito.
Avevo dato disposizioni affinché i ragazzi riposassero il più possibile: li avremmo rivisti solo per il pranzo e dopo le tre del pomeriggio, al momento della riunione tecnica di preparazione alla finalissima. Fernando mi informò dell’intenzione dei genitori di concedersi un pranzo a base di pesce in un ristorante sul mare. Declinai l’invito: «Ringraziali, ma io, Gegè e Francesco resteremo con i ragazzi. Se tu e tua moglie volete andare, non sarà un problema. Solo una cosa: non rimetterti quella maglia puzzolente!» dissi ridendo. «Ah! Ah! No, non a pranzo. Ma dopo, al ritorno per la finale, la indosserò di sicuro!» mi rispose, e se ne andò.

Rimasi solo, preso da quel tipo di pensieri che un qualsiasi allenatore si augurerebbe di avere almeno una volta nella carriera: “C…o!
Possiamo diventare Campioni d’Italia! Sì, Campioni d’Italia!” Per la prima volta nel corso di quei fantastici quattro anni, mi stavo preparando alla finale con la convinzione che ce l’avremmo potuta fare. Come previsto pranzai in albergo, mentre Fernando andò al ristorante con i genitori. Poi, lasciai i ragazzi con Gessi e Francesco e, in compagnia di mia moglie, mi diressi al ristorante in tempo per bere un caffè e dare un saluto ai genitori. Arrivammo giusto alla conclusione di un lauto pasto a base di pesce.
Davanti al ristorante sul mare, in uno spiazzo con delle panchine, era seduto nonno Suppini (nonno materno di Jack Bendini) che stava badando agli altri due suoi nipotini. Ci salutammo, e mentre mia moglie entrava nel locale, mi fermai per parlare con lui.

Era molto tempo che non facevamo due chiacchiere, e non poteva esserci migliore occasione. Inoltre, dato che la tensione stava già iniziando a prendermi all’intestino, pensai bene non fosse il caso di aggravare la situazione con del caffè. «Ciao Lello. Oh!, finalmente riusciamo a parlare, noi due…» «Già, hai ragione» risposi, sedendomi accanto a lui. A Quel punto lui incominciò: «Sai, penso che nessuno di noi, all’inizio di questa avventura potesse immaginare di vivere un finale del genere. Delle
sensazioni così forti e profonde non le avevo mai provate, credimi. Non so come ringraziarti, perché tu ne sei l’artefice principale. Non solo, sei riuscito in una impresa quasi impossibile: quella di creare un gruppo coeso sia fra i genitori che fra i loro figli. Questi ragazzini, nati e cresciuti tutti in un piccolo quartiere di Bologna: Gli hai insegnato a
giocare, li hai fatti crescere umanamente e sei riuscito a farli arrivare al vertice del basket giovanile italiano. Incredibile. Comunque vada la finale di stasera, tu hai già vinto, e noi tutti con te!». Non mi aspettavo una così aperta e sincera dichiarazione di stima nei miei confronti. Lo guardai, e sentii divampare il rossore sulle mie guance, per fortuna ben mascherato dall’abbronzatura. Lo ringraziai moltissimo, e gli dissi che quello che mi aveva appena detto sarebbe rimasto indelebile dentro di me, perché si era trattato del complimento più bello e sincero che potessi ricevere. A quel punto capii che era vero – il mio scudetto l’avevo già vinto. E così i miei ’90 e tutti quelli che ci erano stati così vicini in quegli intensi e meravigliosi anni. L’emozione ci prese entrambi: era proprio giunto il momento di rientrare nel locale e berci un meritato caffè.

Campioni d’Italia!

I ragazzi si prepararono alla finale a loro modo. Questa volta però, prima della partita, non sentii alcuna musica riecheggiare per le camere d’albergo. Solo uno strano silenzio, ma significativo. Alle 15:00 facemmo l’ultima riunione di quella settimana. Come nelle precedenti, mi limitai a riferimenti e spiegazioni prettamente
tecniche, sorvolando sull’aspetto psicologico e motivazionale. In quel momento non ne vidi la necessità, e questo valse anche per il pre- partita.

La vittoria del giorno prima e il modo in cui era stata ottenuta ci aveva resi praticamente imbattibili. Certo, c’era tensione, ma quella giusta; quella che ti fa capire che il tuo obbiettivo è a portata di mano, che nessuno potrà più fermarti, a meno che non lo voglia tu stesso. La finalissima si disputò sempre all’aperto, vicino al mare. Nella stessa “Arena di Viale Trieste” dove avevamo giocato per le qualificazioni contro Rende. Questa volta non c’era un filo di vento, con il sole che ci avrebbe disturbato un po’, concedendoci però di giocare gli ultimi due quarti all’ombra.

Ci dirigemmo al campo in auto, poiché avevamo deciso di ripartire per Bologna subito dopo la premiazione. Mentre andavamo, mia moglie mi annunciò che nostro figlio Matteo, allora ventiquattrenne universitario già impegnato in politica, sarebbe arrivato in treno in compagnia del fratello di Michele De Fazio, suo amico, per assistere
alla finale. Ne fui molto felice: perché si trattava di mio figlio; ma anche perché lui, allora vicepresidente del Quartiere Savena, avrebbe rappresentato il “nostro” quartiere, la nostra città. Quel “Savena” ormai divenuto famoso anche per un gruppo di favolosi ragazzini dell’annata ’90. Una squadra ormai celebre, a cui veniva finalmente riconosciuto ogni merito, e che alla ripresa della stagione sportiva del settembre successivo, sarebbe stata premiata personalmente dal Sindaco di Bologna per via di una ennesima, favolosa vittoria sul campo:

Pontevecchio – Robur et Fides Varese, 76-55.

Da La Repubblica Bologna:
Pontevecchio bim bum bam, ed è scudetto.


I ragazzi di Lepore campioni d’Italia categoria Bam (13 e 14enni). Imbattuti da quattro anni. C’è una squadra, a Bologna, che non perde da quattro anni. Ed è riuscita ad arrivare, domenica scorsa, dove non erano riuscite Fortitudo e Virtus. Un titolo per Basket City, quest’anno, l’hanno portato a casa loro: Bendini, Bosi, Calzolari, Carnevali, De Fazio, Ettorre, Fin, Menarini, Minetto, Monari, Rimondi, Romagnoli, Rota, Shervin, Venturoli, Villani, Zampagna. Sono i ragazzi d’una piccola, storica società bolognese, la Polisportiva Pontevecchio, nata nel lontano 1957, attiva nel basket dal ’73. Domenica, a Porto San Giorgio, la Pontevecchio è diventata campione d’Italia per la categoria BAM, ovvero quella per i ragazzi del 1990 e 1991. In finale, demolendo la Robur et Fides Varese 76-55, ha fatto una passeggiata, ma è stato il coronamento di una stagione travolgente, la quarta di fila senza mai perdere una partita. Anzi, una volta sì.

«Era lo scorso dicembre, giocavamo con Treviso un torneo di Natale: perdemmo di venti – ricorda oggi Raffaele Lepore, da più di vent’anni coach della Pontevecchio e, fin dal minibasket, alla guida del gruppo diventato campione. Anche stavolta, in semifinale, c’è toccata la Benetton. Partiamo sotto di 10, a me vengono già i fantasmi. Poi andiamo sopra di 13 e siamo ancora a +2, con 24 secondi da giocare: difendiamo alla grande e loro non tirano. Era fatta: emozioni forti, fortissime».
Poi, la finale è stata comoda: lo scoglio grosso era prima, sia Pesaro nei quarti che Treviso in semifinale. È contro la Scavolini che a Lepore è venuto il languore. «Dall’inizio
della stagione – dice – non partivamo mai favoriti: prima, ovvio, ci sono le grandi. Eppure le abbiamo messe in fila tutte, Virtus, e Fortitudo nelle provinciali, Forlì alle regionali». E alla fine, passato l’interzona di Domegge di Cadore, sono arrivate finali e scudetto. «La prima volta per una squadra bolognese in questa categoria»,
tiene a precisare Lepore, coach tutto casa, banca e palestra. E che ogni anno fa un passo in più: due anni fa la Pontevecchio fu campione provinciale; l’anno scorso vinse il titolo regionale. «Ed è lo stesso gruppo, in cui abbiamo inserito solo due ragazzi: Marco Minetto, della Fortitudo, e Alex Monari, figlio d’arte di Marco, anche lui consigliato
dalla Effe. Gli altri sono reclutati da noi, nel Quartiere Savena, ma con la Fortitudo collaboriamo: il prossimo anno, quando saremo cadetti, 2- 3 dei loro varranno con noi».
Nel gruppo, alle finali, è esploso Flavo Rota: 15.7 punti col 51‰ da due, 24 punti con 10/12 ai liberi in finale. «Tecnicamente sarebbe già pronto – dice Lepore – e ha pure l’anima da capobranco: se si sviluppasse un po’ fisicamente…». Tra gli altri, Lepore cita Monari («Umile, e ha voglia di migliorarsi»), Romagnoli («Un play-guardia di colore, adottato da piccolo dagli Usa») e Fin («Un’ala molto brava, con un carattere d’acciaio»), 11.6 punti e 11.6 rimbalzi (high di 17) nelle finali sangiorgesi. Ora, il prossimo anno, il salto di categoria ai Cadetti: «Ma con il salto di categoria affronteremo anche degli ’89, quindi ragazzi di un anno più grandi: magari prenderemo delle gran
paghe, però il gruppo è davvero bello. E ci proveremo».

Dal blog PV di allora:

BAM: I Campioni premiati dal Sindaco.
I BAM Pontevecchio, Campioni d’Italia, premiati da Cofferati.

I ragazzi della Pontevecchio, che nella passata stagione sportiva militavano nella categoria BAM e che il 4 luglio di quest’anno conquistarono lo scudetto nelle finali tricolori a Porto San Giorgio, sconfiggendo in finale la Robur et Fides Varese, sono stati premiati in Comune, Sala Rossa, mercoledì 29 settembre.
È stato il Sindaco in persona, Sergio Cofferati, a consegnare ai campioni d’Italia un giusto riconoscimento, per l’impresa compiuta.
Era la prima squadra giovanile di basket della storia ad essere premiata dalla più alta istituzione della città. Fu un onore per tutti noi. Ed ecco, infine, come Fabio Carnevali raccontò sul “blog PV” la finale a Porto San Giorgio: La soddisfazione di un risultato di grande prestigio avrebbe potuto rilassare una tensione costruita nella lunga settimana di permanenza a Porto S.Giorgio, ma ancora una volta questi ragazzi hanno mostrato di avere dentro qualcosa di eccezionale. Nella finale sono entrati in
campo con la massima concentrazione e con una partenza esaltante hanno letteralmente annichilito Varese che fin dalle prime battute ha mostrato di non essere in grado di reggere l’onda d’urto della squadra allenata da Lepore. Ancora una volta la difesa si è mostrata la grande arma della Pontevecchio e, contenendo il forte Triacca, ha di fatto impedito a Varese di sviluppare il veloce gioco di attacco che li aveva contraddistinti nelle precedenti partite. In attacco le penetrazioni di Rota ferivano gli avversari che non riuscivano ad organizzare alcuna resistenza. Il distacco prendeva così dimensioni incolmabili e la partita finiva con i tifosi che prima della sirena potevano gridare

“CAMPIONI
CAMPIONI”.
Campioni d’Italia.

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