Basket: 9°episodio de “I cinni del ’90”

Il torneo nazionale di Treviso

Il Memorial “Andrea Zanatta” (torneo intitolato a un giovane e promettente atleta di basket morto prematuramente), giunto alla sesta edizione, era nato da un’idea del già citato Francesco Benedetti, allenatore della Benetton Treviso. Riservato all’allora sola categoria BAM (annata 1990/91) era diventato, e lo è tutt’ora, il più importante torneo nazionale riservato agli atleti di quella età. Praticamente un appuntamento di importante verifica per la maggior parte delle squadre che aspiravano a raggiungere le finali nazionali di categoria a 16 squadre. Le partecipanti a contendersi l’ambito trofeo erano tra quelle che, sulla carta, gli addetti ai lavori indicavano come probabili finaliste
Fip a Porto San Giorgio. Ovviamente, non poteva mancare la favoritissima, sia del torneo che delle finali nazionali, la Benetton Treviso. Le Squadre partecipanti al torneo erano suddivise in quattro gironi. Le prime due classificate si sarebbero qualificate ai quarti di finale, con incrocio tra prime e seconde dei gironi.

Le date sulla locandina del torneo Zanatta indicavano i giorni tra il 3 e il 6 gennaio 2004. Ma, visto il numeroso gruppo di squadre invitate e il conseguente alto numero di partite da effettuare, il calendario fu stravolto, e a noi toccò giocare alle ore 19:30 del 3 gennaio contro i ragazzi del Muggia Trieste… a casa loro! Per chi non lo sapesse, la distanza tra Trieste e Treviso è di circa 160 km, per un viaggio di quasi due ore. Facemmo presente questo particolare all’organizzazione. Ci fu risposto che, essendoci una partita in più per giornata, e siccome vigeva la regola dell’ospitalità della squadra veneta del proprio girone, noi, assegnati a Trieste, non potevamo fare diversamente. A questo punto, per non passare come i soliti bolognesi “rompipalle”, il buon Fabio Carnevali si attivò con solerzia e tempismo per organizzare tutto al meglio, mettendosi in contatto con i referenti di Trieste. Per i ragazzi non ci fu problema, perché sarebbero stati ospitati dalle famiglie dei giocatori triestini. A noi tecnici spettò un appartamento della società di Trieste, mentre per i genitori, al seguito dell’Ingegnere, fu prenotato un albergo nelle vicinanze. Sulla carta, tutto bene. Appuntamento a Muggia-Trieste, al Palazzetto, qualche ora prima dell’inizio della partita, per dare così ai ragazzi la possibilità di smaltire il viaggio e prendere contatto con le famiglie ospitanti. Io mi mossi con la mia auto, con il padre di Gabbone Fin e Sandro, il quale puntualmente si fece trovare al posto stabilito per la partenza in tarda mattinata.

La giornata era molto fredda e soleggiata – così per tutte le tre ore di tragitto. Facemmo un viaggio tranquillo che a me sembrò molto meno lungo, forse per l’intensa chiacchierata con Sandro Fin. Non sono mai stato molto loquace, ma lui, già ben diverso da me, era ancora più felice di poter parlare del figlio liberamente, con il suo allenatore, dimostrando e confermando alle mie orecchie quanto amore di genitore avesse nelle sue parole e quanto le imprese sportive del ragazzo gli stessero a cuore! Capii finalmente che avrei trovato in lui un alleato sincero e formidabile, con cui concretizzare ogni possibile idea finalizzata alla crescita di suo figlio e di tutto il gruppo.
Arrivammo all’orario stabilito al palazzetto del Murgia Trieste, società emergente del settore giovanile Triestino. Ci accolse al nostro arrivo il loro allenatore e, come apprendemmo dopo, deus ex machina della società, Francesco Tremul. Con lui l’Ingegnere aveva avuto i primi contatti telefonici mesi prima, e ora lo incontravamo di persona.
Fu una felice conoscenza, non solo per la simpatia e disponibilità, ma anche per la sua profonda conoscenza tecnica delle squadre e dei giocatori che di lì a poche ore avremmo potuto affrontare. Fu per me una fonte importante per preparare al meglio le partite contro avversari a me fino ad allora quasi sconosciuti. Fu così corretto che, prima della partita, mi diede anche molte notizie tecniche sulla propria squadra. Non so se lo fece perché sicuro della vittoria oppure per la sua indiscutibile cordialità.
La prima partita contro i Triestini del Muggia la vincemmo di oltre venti punti. Fu più facile del previsto. Il loro migliore giocatore si dimostrò, come onestamente mi aveva detto prima della partita il buon Tremul, un certo Stefano Crotta, un ragazzone alto e grosso già a quattordici anni non ancora compiuti – alto 1,92! Seppe darci filo da
torcere, ma solo all’inizio della partita, prima che Fin e Angelini lo limitassero (caricandolo di falli) a partire dal secondo quarto. Al resto pensarono i nostri “piccoli”, completando l’opera con la nostra ormai collaudata run and jump, che portò a numerosi recuperi di palloni trasformati in facili canestri sotto misura. Su tutti impressionò Enri
Carnevali, il figlio dell’Ingegnere, uno dei “bersagli” preferiti (alcune volte anche incolpevolmente) per le mie sfuriate da allenatore urlante e un po’ schizzato già a cinquant’anni! Enri, oltre a difendere come suo solito, fece 18 punti, top score di quella serata. “Che il Natale ci abbia portato per regalo inaspettato un altro giocatore di livello? Vedremo…”
pensavo, a fine partita. «Siete stati bravi. Non me l’aspettavo. Con questa vostra difesa aggressiva ci avete messo in forte difficoltà. I miei ragazzi non sono ancora preparati ad affrontare queste difese, sono ancora troppo ingenui» mi disse Tremul alla cena del dopo partita. «Se riuscirete a esprimervi come avete fatto oggi con noi, ci saranno ottime possibilità di contendere la vittoria finale alle favorite del torneo: Benetton in primis; poi Scavolini, Virtus Siena e San Zeno Verona» aggiunse, dopo essersi complimentato. «Dato che abbiamo battuto proprio il San Zeno di Verona qualche giorno fa, al torneo di Gallo Ferrarese – e con una squadra non al completo! –, voglio credere a quello che dici» dissi io. «So che avete vinto quel torneo e, a maggior ragione, ti confermo quanto appena detto» mi rispose, con tranquillità friulana. Finita la cena, accompagnò me, Gessi e D’Atri all’appartamento per la notte… E
che notte!

«Ma che freddo fa qui dentro?» disse Gegè Gessi appena entrammo. Dormimmo in un freddo glaciale, vestisti di tutto quello che potevamo metterci addosso e sotto le coperte fredde dell’appartamento. Il
riscaldamento non funzionò per nulla, e fuori quella notte soffiò la Bora!

Ai genitori che ci avevamo seguito a Trento non andò meglio. Le famiglie al completo di Carnevali, Menarini, Minetto, Bendini e papà Fin avevano prenotato a Muggia, in un albergo che doveva essere uno dei migliori della zona, ma che per accoglienza si dimostrò peggio di quella del nostro appartamento! «È stata una notte in un hotel da
incubo: bora a 100 km/h, riscaldamento bloccato (ma guarda!) io e il padre di Marco Minetto che andiamo nella caldaia dell’albergo a cercar di farla ripartire dato che il portiere di notte, secondo lui, era scappato dal freddo per andarsene a dormire a casa. Abbiamo dormito tutti con i vestiti, le scarpe e le giacche a vento, coperti da asciugamani, copri divano e tende raccattati in giro nell’hotel abbandonato a se stesso» ci raccontò il giorno dopo Andrea. Era andata meglio a noi, incredibile!
Fu la prima e ultima volta che tutti noi – ragazzi compresi – “dormimmo” a Muggia. Appena arrivati a Treviso, la mattina del 4 gennaio, prendemmo insieme la decisione di trovare una collocazione degna e vicina ai campi da gioco, non solo per quanto successo quella notte, ma anche e soprattutto per il fatto che i ragazzi, pur avendo un letto caldo dove dormire – beati loro! –, avrebbero dovuto fare tutti i giorni due stancanti ore di andata e ritorno da Treviso e Trieste. Non avrebbero potuto reggere fisicamente. Non fu però facile trovare posto negli alberghi della zona per alloggiare tutti, un po’ per via delle festività, e poi perché molti erano già stati prenotati da partecipanti e rispettivi genitori del torneo giovanile. Alla fine rimaneva da trovare posto per soli quattro giocatori, che riuscimmo a sistemare con l’aiuto della fortuna e della disponibilità delle famiglie Monari e Angelini, grazie ai loro camper. I padri e possessori delle “case viaggianti” in fondo non vedevano l’ora di ospitare i ragazzi, per cui, da quel momento, i camper divennero le nostre basi operative del torneo, in qualità di dormitori, mense, uffici e luoghi di “svago” per tutta la squadra bolognese. Ci furono anche genitori rimasti senza camere che, naturalmente, non rinunciarono alla possibilità di veder giocare i propri figli per niente al mondo, e che, per i tre giorni seguenti, fecero avanti e indietro da Bologna in auto!

Continua..

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