26 Mag Basket: puntata finale de “i cinni del ’90” (1°parte)
…Verso l’una, Gessi e Francesco portarono i ragazzi in albergo, mentre io e mia moglie seguimmo i genitori al camper dei Monari per non mancare alla bevuta dello scaramantico limoncello, prima di andare a dormire anche noi. Onde evitare complicanze intestinali, ma dovendo per forza bere qualche cosa che non fosse acqua, chiesi a Marco un caffè d’orzo. «Orzo! Macché orzo! Ti faccio bere un caffè speciale, leggero, che non fa male e nello stesso tempo ti rinvigorirà per domani!».
Dopo averlo bevuto, ebbi una folgorazione. Allora chiesi a un bravo e corretto ex giocatore di Basket come Marco se secondo lui dare da bere un po’ di quel caffè ai ragazzi prima di una partita fosse una cosa appropriata e corretta: «Potrebbe servire più come uno stimolo psicologico che fisico. O no?» aggiunsi.
Lui mi guardò sorridendo e mi rispose, scherzando: «Se vuoi ti faccio due bottiglioni di caffè: se può servire a dar loro più spinta…».
Poi, tornando serio, mi diede il suo parere: «No, tranquillo, è un caffè leggero e non è assolutamente da considerarsi una “droga”. Potrà dare un piccolo stimolo nervoso che servirà giusto a essere svegli da subito, e nulla più».
Ormai si era fatto tardi anche per noi e a quel punto salutammo la compagnia, dandoci appuntamento al giorno dopo. Dissi a Marco che ci avrei pensato seriamente e che, dopo aver parlato l’indomani con Francesco, gli avrei telefonato per una decisione in merito. La mattina successiva, ordinai un bottiglione del magico caffè a Monari.
La Preparazione.
Alle nove di mattina del 3 luglio 2004, la tensione cominciava a farsi sentire, ma mi ripromisi che nessuno, eccetto il mio intestino, avrebbe dovuto subirne gli effetti. A cominciare dai miei collaboratori, per non parlare dei ragazzi. Nel frattempo, mi trasferii sulla veranda davanti al nostro albergo a guardare, loro sì sereni, i primi villeggianti che andavano al mare.
«Prendi un caffè?» mi sentii dire da Francesco, mentre con la faccia assonnata mi stava raggiungendo in veranda.
«No, grazie. A prosito di caffè…» e qui colsi l’occasione per illustragli cosa avevo pensato e concordato con Marco.
«Si può fare, sono d’accordo» mi rispose, confermandomi anche lui ciò che aveva detto Monari: «Un ulteriore “stimolo” motivazionale da
proporre ai ragazzi». Nel frattempo sopraggiunse anche Gessi, il quale condivise a pieno la pratica “caffè”. Con lui stabilimmo il programma da dopo pranzo fino alla partita: mattinata libera per tutti; riposo fino alle 15:00; riunione tecnica di circa una ora e poi in camera per prepararsi per la partenza verso le 17:30 per la partita.
Ognuno di noi si preparò a suo modo a quello che per la nostra storia verrà denominata “La Partita”.
Caffè.
Avevamo ottenuto due certezze inamovibili, che a mio avviso dovevano rimanerci ben chiare in mente. La prima era che il miglior risultato che avevamo sperato di ottenere era quello di figurare tra le prime sedici squadre in Italia. Obiettivo raggiunto, eravamo arrivati tra le prime quattro. La seconda era che, contro quella Benetton, giocandoci anche dieci volte di seguito, forse avremmo potuto vincerne una. Vero. Ma allora, perché quell’una non poteva essere in quella sera di luglio a Porto San Giorgio?
Scesi dalla camera con mia moglie verso le 14:30, lei per andare al mare insieme alla moglie di Fernando e io per preparare gli ultimi dettagli della riunione pre partita.
Prima di scendere le scale, passammo per forza di cose attraverso il corridoio dove si affacciavano le porte delle camere dei ragazzi, e tutto d’un tratto sentimmo le note della stessa canzone alzarsi sempre più forte proveniente da tutte le camere occupate dai ragazzi.
Riconobbi in quel suono, una delle canzoni di allora, che era tra le prime in classica nella hit-parade mondiale dei dischi più ascoltati e venduti: F**k it (I don’t want you back) del cantante americano Eamon. Canzone che era diventata la loro preferita. Anche una delle mie, a dire la verità (a parte il testo molto scurrile) per il suo ritmo e musicalità. Si stavano caricando per la partita.
“Siamo proprio sicuri che abbiano bisogno di riunioni o di caffè?” disse mia moglie, sorridendo, mentre passavamo accanto alle porte socchiuse.
Alle 15 precise tutti i ragazzi erano pronti per la riunione tecnica. Cercai di essere semplice ed efficace il più possibile. Non feci nessun discorso “motivazionale”: lo riservai al pre-partita, negli spogliatoi. L’unica divagazione, fu sull’argomento caffè: «Ultima cosa. Stasera, prima di uscire dagli spogliatoi e prima di entrare in campo per il riscaldamento, avremmo pensato di farvi bere un sorso di caffè. Vi potrà aiutare a darvi un po’ di carica”.
La reazione dei ragazzi in generale fu in primo momento di perplessità e di stupore. Alcuni di loro, tipo Gabbino e Leo Menarini, mi dissero che non gli piaceva il caffè e che non l’avrebbero bevuto. «Ma l’hai mai assaggiato?» gli chiesi. «No!» fu la risposta.
«Bé, allora potreste provarlo oggi, sempre se vorrete. Basta comunque berne poco!».
A questo punto intervenne Francesco che spiegò bene a tutti le motivazioni della presenza della bevanda. Quindi, sciolsi la riunione dando appuntamento per la partenza per il campo da gioco.
Mancava ancora qualche ora all’inizio della partita e la tensione in me si alzò ancora di più, tanto da farmi andare più volte in bagno. Preso dallo sconforto, chiamai Francesco e gli spiegai cosa mi stavo succedendo. «Non ti preoccupare, preparo io qualcosa a base di limone che ti aiuterà».
Dopo circa mezz’ora arrivò in camera mia con un “bibitone” di circa un litro, di color bianco, dicendomi: «Agitalo bene, poi bevilo a piccoli sorsi, e vedrai che farà effetto dopo poco tempo». Non so ancora oggi cosa il buon Mangiacotti mise dentro quell’intruglio di color bianco avorio, ma ebbe effetto: a cinque minuti dall’inizio della partita mi era passato quasi tutto. Effetto placebo come il caffè per i ragazzi?
Stando a quanto avvenne di positivo successivamente, a questo punto, dovrei dire di sì.
Arrivammo sul campo molto prima delle 18:00, e ci sedemmo inattesa sulle sedie vicine al campo, ognuno assorto con i propri pensieri. Avevamo scelto di arrivare al campo indossando tutti la nostra maglia granata con la scritta “Pontevecchio Basket” sul davanti. La decisione di indossare questa maglia fu dovuta principalmente perché rappresentava bene i nostri colori Sociali, ma anche e perché Fernando insistette molto per indossare proprio quella. Per questo in albergo prima della partenza, ci fu una piccola discussione bonaria tra me e lui:
«Scusa Fernando, ma è più di un giorno che noi dello staff indossiamo questa polo, puzza però!». Sorridendo, mi convinse rispondendomi: «La mia puzza più di tutte. Gli ho fatto prendere un po’ d’aria… ma niente! Però da quanto la indosso alle nostre partite non ne abbiamo persa una!».
La sua anima scaramantica di napoletano verace venne allo scoperto e fece sì che anche quella mia, di figlio di mamma napoletana, si unisse alla sua.
Intanto i genitori di entrambe le squadre prendevano posto sulle tribune.
I nostri, sempre con le famose t-shirt bianche con la scritta Pontevecchio, si posizionarono come ormai facevano da quando giocavamo in quell’arena, sulla tribuna di fronte alla nostra panchina dall’altra parte del campo. I Trevigiani, sulla tribuna dietro la loro panchina.
I nostri andarono a cambiarsi negli spogliatoi, mentre i veneti, alloggiando nel vicino albergo a quattro stelle, erano già pronti con la loro famosa divisa verde con bordi bianchi. In questi momenti di preparazione, mi passarono per la testa tanti ricordi collegati a noi tutti: l’inizio, quando presi ad allenare i miei ’90; la loro crescita, le partite giocate – in particolare quella giocata a Treviso; Benedetti, Gollini, i genitori, Fabio e Fernando… A quel punto mi soffermai su quest’ultimi e mi venne in mente che forse avrei dovuto ringraziarli per tutto quello che avevano fatto per me e sopratutto per i loro ragazzi.
Le possibilità che quella partita così importante fosse l’ultima di quel gruppo era molto concreta, a prescindere da tutto e tutti. Mi alzai dalla sedia di scatto e andai da Fernando che stava colloquiando tranquillamente con un dirigente Federale. «Scusa Fernando, ma avrei bisogno un attimo». Lui salutò la persona con cui stava parlando e si avvicinò. «Avrei bisogno di un favore: dovresti rintracciare tutti i nostri genitori presenti, se possibile, perché vorrei parlargli prima della partita. Troviamoci al di fuori dal campo in un posto dove i ragazzi non ci possono vedere. Dietro al parcheggio dove ci sono le nostre macchine».
Lui mi guardò sorpreso per questa mia strana richiesta – proprio prima di una partita così importante. Non chiese spiegazioni, ma andandosene mi disse: «Cercherò di raggrupparne il più possibile con l’aiuto di Fabio, non so se sono già tutti presenti sul campo».
Aspettai al parcheggio la squadra dei genitori, appoggiato alla mia auto, pensando che cosa dire. Arrivarono alla spicciolata e non tutti, ma comunque un buon numero: Fabio, Fernando, Sandro Fin, Andrea Bendini, i coniugi Menarini, Marco Monari, il padre di Rimondi, Giorgio Romagnoli e papà Minetto.
Ero emozionato, le parole che nella mia mente erano pronte per essere dette, ebbero una rallentamento iniziale. Poi uscirono: «Vi ho chiamato qui perché reputo che sia questa l’occasione migliore per potervi parlare e dirvi alcune cose. Ormai mi conoscete, non sono uno molto loquace e per di più volendo dire quello sto per dirvi… scusate il gioco di parole… faccio ancora più fatica». Feci una piccola pausa per respirare e guardai i genitori che mi stavano tutti fissando increduli e sorpresi. Continuai: «Prima di tutto volevo dirvi che vi ringrazio per quello che state facendo ora qui a San Giorgio e di essere venuti. Ma sopratutto, volevo ringraziarvi per avermi dato la possibilità in questi tre anni di allenare i vostri figli: veramente, vi ringrazio. Ve lo dico adesso, prima di questa importante partita il cui esito forse per alcuni sarà scontato. Ma non per me e per i ragazzi». A questo punto l’emozione mi prese e aggiunsi solo: «Veramente! Grazie!».
L’emozione non aveva preso solo me, ma anche molti genitori presenti. Fu un attimo, ma molto intenso e sincero.
A quel punto Claudio Menarini, preso dalla carica emozionale provocata da quella speciale situazione, allungò la sua mano in mezzo al gruppo che si strinse in cerchio, facendo allungare d’istinto la mano di tutti noi presenti sopra la sua…
Un grido si alzò forte e chiaro in quel parcheggio: «PONTE-VECCHIO!».
Alle 18:15 circa chiamai negli spogliatoi i ragazzi per il discorso. Come prima cosa ricordai il piano-partita illustrato qualche ora prima in albergo, soffermandomi molto sulla nostra difesa a uomo. «Facciamo in modo di tenere almeno due palleggi e non farci battere verso il centro dell’aria. Loro sono bravi in questo con White e Loschi. Incominciamo a difendere dalla trequarti di campo. Inizialmente non proporremo la run and jamp a tutto campo».
Diedi le marcature dei primi cinque, descrivendo per l’ennesima volta le caratteristiche di ogni nostro pericoloso avversario. I ragazzi erano super attenti e l’unico rumore che si sentiva era quello della mia voce: «Allora ragazzi, siamo arrivati dove volevamo arrivare: rigiocare questa partita contro di loro. Sono bravi e sono i favoriti al titolo, ma sono loro che hanno tutto da perdere. Noi siamo arrivati a un risultato oltre ogni rosea aspettativa, ma non vedo perché non dovremmo dare tutto quello che abbiamo per provarci. Se lo faremo e loro comunque vinceranno, bravi loro. Noi non avremmo nulla da rimproverarci!». A quel punto facemmo con la stessa carica e
intensità l’urlo che pochi minuti prima avevo condiviso con i genitori. I brividi mi corsero lungo la schiena!.
«Ah! Aspettate. Prima di uscire dovete passare da Francesco che vi farà bere un goccio di caffè».
Si misero in fila diligentemente e, uno alla volta, bevvero un goccio di quella porzione miracolosa. Ah-Ah!
La partita
Le tribune ai lati del campo all’aperto erano ormai tutte piene di gente, così come le sedie che l’organizzazione aveva aggiunto per l’occasione piazzandole dietro ai canestri. Erano presenti all’incontro più di 300 persone.
Iniziammo la partita in orario, giocandola tutta con la luce naturale, però senza sole. Atmosfera e ambiente ideale per giocare una partita di
basket all’aperto. Il nostro quintetto iniziale era composto da: Bendini, Carnevali, Rota, Fin e Monari. Mentre quello degli avversari era: White, Loschi, Bettini, Cenedese e Zanata.
La palla a due iniziale venne vinta da Zanata su Fin e di conseguenza ecco a loro la prima azione di gioco. Due passaggi, una penetrazione di White e scarico per Zanata che fa canestro facilmente da sottomisura: due a zero per loro. Andiamo in attacco contro la loro difesa a uomo. Jack Bendini inizia la nostra azione cercando un passaggio sul lato destro del campo per Enri, che però pur ricevendo non riesce a trattenere la sfera. Contropiede avversario e canestro, 4 a 0 per loro.
Siamo troppo tesi, e il nostro gioco offensivo ne risente in modo evidente. Non riusciamo a tirare a canestro se non con azioni estemporanee di Flavio, Gabbone e Alex.
Un po’ per merito della difesa avversaria, ma molto per la poca grinta mentale che ci mettiamo nel fare cose. 6 a 0, 8 a 0…. 10 a 0!
E siamo solo a tre minuti dall’inizio della partita. “No, non è possibile!” pensai. I fantasmi della partita di Treviso mi apparvero nitidi nella mente.
A quel punto urlai verso il tavolo dei giudici di gara «Time out! Time out!». i Cinque che erano in gioco, arrivarono verso la panchina con la testa bassa, senza dire una parola. Cercai di stare calmo il più possibile, ma non ci riuscii più di tanto, lo ammetto. «Non è possibile! Non è possibile partire in questa maniera! Alla malora la difesa a uomo, torniamo in campo, e difesa Cinquanta!» dissi. Questa ultima parola alzando ancora di più la voce e aggiungendoci un “vaffa” verso il vuoto davanti a me.
La “squadra” sugli spalti di fronte a noi, capendo il momento di difficoltà, incominciò a incitare e a fare un tifo rumoroso e caloroso, che da quel momento continuò così fino alla fine della partita. Non posso dire se fu il minuto da me chiamato, il cambio di difesa o l’incitamento da parte dei genitori, ma da quel momento iniziò la nostra
partita, e in pochi minuti da 10 a 0 per loro, arrivammo al settimo minuto del primo quarto al 10 a 7. “Contro-minuto” chiamato da Benedetti.
Finimmo il quarto sempre sotto di pochi punti, ma da quel momento ebbi la netta sensazione che potessimo tenere testa ai nostri più blasonati avversari.
Nel secondo quarto, con l’entrata in scena di Gabbino al posto di Bendini, di Michele De Fazio al posto di Alex, di Leo Menarini al Posto di Enri e la permanenza in campo di Flavio e Lele (Fin), facemmo in modo di mantenerci a ridosso dei nostri avversar. Anzi, avemmo anche una accelerazione improvvisa, grazie alle iniziative in coppia di
Gabbino e Gabbone, che con due giocate in “pick and roll” laterale, provocarono scompiglio nella difesa avversaria con due canestri di
ottima fattura. In difesa, la nostra Cinquanta incominciò a essere un rompicapo per i nostri avversari, e li portò a fare scelte di tiro errate e non certo
portatrici di punti. L’unico che riuscì a colpire (lo farà per tutta la partita, chiudendo con 23 punti – loro top score) fu Zanata. Finimmo il primo tempo in leggero vantaggio di due o tre punti, non ricordo bene.
Nel riposo tra il primo e il secondo tempo cercai di rimarcare di più le nostre cose buone che quelle sbagliate. Inoltre, feci presente che i nostri avversari stavano facendo molta fatica contro la nostra difesa a zona, e che comunque bisognava stare molto attenti ai vari Loschi, Cenedese e Bettin: avrebbero voluto sicuramente rifarsi, date le loro pessime percentuali al tiro. «Attenti ragazzi, soprattutto se ritorniamo a giocare a zona, ai tiri da tre punti. Sono capaci di fare sequenze positive in pochi minuti!». Poi,
passai a parlare di come avremmo dovuto eventualmente affrontare una loro difesa a zona.
«Gabbino, se fanno zona, la faranno 2-3, come quella che vedemmo nella partita dei quarti contro Roseto. Quindi ricordiamoci di fare “lato” (era la chiamata del nostro schema contro la difesa a zona). Lele (Fin) bloccherà il difensore in guardia sul lato di Gabbo, così lui potrà sfruttare la sua mano sinistra». Mentre parlavo, disegnavo i movimenti da fare sulla lavagnetta del coach.
Facemmo l’urlo, e i ragazzi uscirono per primi. Cercai la bottiglia di liquido bianco preparatami da Francesco. “Me ne bevo un po’, non si sa mai” pensai. Poi uscii anch’io per il secondo tempo. Nella seconda parte della partita iniziammo con un quintetto composto da Gabbino, Flavio, Carnevali, Lele (sarà l’unico a giocare tutti i 40 minuti) e Alex. Per i primi due o tre minuti difendemmo a uomo, per poi ripassare definitivamente alla difesa cinquanta fino al termine dell’incontro.
Nei primi minuti del terzo quarto le due squadre si equivalsero. Il punteggio rimase sempre in bilico fra i due o i tre punti di vantaggio di
una o dell’altra squadra. All’unica costante offensiva della loro ala Zanata, ribattemmo colpo su colpo con diversi giocatori che si alternarono in campo e nelle segnature. Si distinsero: Marco Minetto, con due dei suoi canestri in “solo rete”; Lele Fin, che dopo aver catturato un rimbalzo in attacco lo trasformò con un tiro efficace con mano sinistra; Gabbino, con un tiro da fuori; e Flavio, che cominciò ad attivarsi con le sue penetrazioni con mano destra costringendo i difensori della Benetton a fare dei falli sulle sue azioni di tiro, e concedendo così la possibilità di tirare tiri liberi (8 su 11 alla fine per lui in questo fondamentale).
Siamo così arrivati all’ultimo quarto.
Noi molto carichi e concentrati per essere riusciti a stare in partita fino a quel momento, gli avversari invece, molto meno. Fu proprio in
quel frangente della partita, tra la fine del terzo quarto e la prima metà dell’ultimo, che riuscimmo in modo incredibilmente facile a distaccarli nel punteggio.
A cinque minuti alla fine della partita il tabellone segnava 55 a 45 Per noi! Non stavo sognando, era veramente e meravigliosamente vero.
I ragazzi in quei fatidici minuti, diedero il massimo di loro stessi, chi in campo, chi incitando dalla panchina. Mi sembrava di rivederli quando, quattro anni prima, piccoli e su un “campetto” all’aperto non molto diverso da questo, lottavano al massimo delle loro possibilità fra di loro per la conquista di un canestro.
Ora invece erano lì, a giocarsi la partita più importante, nel momento più bello della vita di un giovane atleta. Intanto Flavio, tutte le volte che ne ha le possibilità, sfrutta l’abilità di leggere i pertugi più impensabili tra le maglie verdi degli avversari, per fare canestro o prendere dei falli (alla fine top-score della partita con 18 punti). Gabbone combatte per arpionare rimbalzi e cercare di limitare il più possibile il loro migliore giocatore. Alex si fa valere lottando sotto le plance. Leo Menarini, vista la turnazione nei cambi obbligatoria, si trova a giocare nell’ultimo quarto contro avversari più forti fisicamente di lui, e non certo per quanto riguarda orgoglio e forza mentale. Enri Carnevali lotta difendendo alla sua maniera. Infine, ecco Gabbino, preso dalla sua trans-agonistica, che risponde alle provocazioni avversarie provenienti dalla loro panchina, facendo un canestro da tre punti importantissimo, che ci porta al massimo vantaggio: più tredici per noi. 58 a 45. Un tiro da una posizione nelle vicinanze della panchina trevigiana. Mentre la palla si stava infilando nel canestro, stracciando la retina e facendo “ciuff”, Gabbino aveva trovato il tempo di voltarsi a muso duro verso
l’allenatore avversario per scaricare tutta la sua carica adrenalinica, gridando «In your face!».
Apoteosi in campo e sugli spalti. Ma purtroppo non era ancora finita! Time-out avversario: Benedetti, imbestialito con i suoi; io invece a cercare, con scarso successo, di abbassare l’euforia della squadra che stava giocando e di quella sugli spalti in t-shirt bianca con la scritta
Pontevecchio.
Mi fu facile avere ragione, ma fu anche per la bravura degli indomabili avversari che, ritornati a giocare dopo l’interruzione, decisero di difendere con una zona 2-3 molto aggressiva a tre quarti campo, per metterci in difficoltà. Ci riuscirono. Nei tre minuti successivi andammo in confusione e la paura di vincere ci frenò ancor di più. Loro ne approfittarono e ci appiopparono un terrificante 10-0! Tutto da rifare.
Chiamo minuto sul punteggio di 58 a 55 per noi a circa due minuti e qualche secondo dal termine dell’incontro. È la volta del pubblico veneto, che torna rumoroso e festeggia per la rimonta dei loro beniamini. «Ragazzi, calma. Siamo ancora in vantaggio, vediamo di ritornare in
campo e di non forzare situazioni, rinunciamo a tiri da fuori dopo un passaggio. Muoviamo la palla da un lato all’altro della loro difesa, cercando così di sbilanciarla e riuscire a penetrare per un tiro ravvicinato o per servire Lele o Alex sotto canestro. Dai, forza!».
Ero tutto sudato, forse più dei ragazzi che stavano giocando. Bevuto un altro sorso di “porzione magica” torniamo in campo per giocare questi ultimi due minuti e venti secondi.
La palla è in nostro possesso, però facciamo un po’ di confusione in attacco e la perdiamo. Loschi (Benetton), recuperata la palla, si getta velocemente in attacco passando al solito Zanata che arriva in corsa… e segna: 58 a 57.
Ritorniamo in attacco e stavolta, nel frastuono generale proveniente dalle tribune, Flavio si prende per l’ennesima volta la responsabilità e, dopo un giro di palla, attacca il centro dell’area avversaria partendo dalla posizione di ala alta fuori dalla linea dei tre punti dalla parte destra del canestro della Benetton. Due palleggi di destro, con il
secondo effettua un cambio di mano, portando palla sulla mano sinistra, e con questa fa un altro forte palleggio in avanti venendosi a trovare a
questo punto in mezzo all’area avversaria, attorniato da ben tre avversari. Trovando la strada chiusa, si arresta e salta, dando
l’impressione di voler tirare da due metri. Vistosi chiuso da una selva di mani, con una torsione del busto, sempre in elevazione, scarica la palla
fuori dall’area, dove Gabbino nel frattempo lo aveva rimpiazzato. Questi, ricevuto libero e con i piedi per terra “in ritmo”, tira e… ciuff!
61 a 57.
Non abbiamo tempo per rallegrarci, perché la palla arriva a Zanata
che con le sue lunghe leve in un battibaleno si fa “beffa” della nostra difesa segnando e guadagnandosi anche un fallo. Due punti più il tiro
libero aggiuntivo realizzato: 61 a 60. Torniamo in attacco, sempre con Flavio che ritenta la stessa azione di prima. Subisce fallo, guadagnandosi due tiri liberi. Realizza il primo, ma sbaglia il secondo: 62 a 60. Sempre “l’incontenibile” (Zanata) riceve vicino la nostra area e subisce fallo. Due tiri liberi anche per lui.
Realizza il primo, ma non il secondo. Rimbalzo di Lele Fin – a questo punto siamo a un minuto e venticinque secondi dal termine, palla in mano nostra con il punteggio di 62 a 61 per noi.
Andiamo in attacco, con Gabbino che passa la palla a Flavio, che stavolta però usa la sua mano sinistra (alla faccia delle mie urla negli anni di esercizi di
fondamentali per usarla) per attaccare il canestro, dalla parte sinistra della difesa. Non riesce a tirare perché gli fanno fallo e così si guadagna gli ennesimi due tiri liberi. Stavolta sbaglia il primo e realizza il secondo:
63 a 61. Manca a questo punto meno di un minuto alla fine.
Continuiamo a difendere a zona, riusciamo a proteggere il nostro canestro per non più di quindici secondi e poi ancora l’incontenibile ci fa canestro dal mezzo
angolo destro della nostra difesa. Parità, 63 a 63. A questo punto torniamo in attacco. Mancano circa 35 secondi al
termine.
Invece di far passare dei secondi, ancora e sempre Flavio attacca in penetrazione. Tira, il pallone colpisce il ferro del canestro e rimbalza, ma contemporaneamente l’arbitro fischia fallo a suo favore. Altri due tiri liberi per noi. Guardo il tabellone del tempo, fermato dai giudici del tavolo: ventiquattro secondi al termine – un’eternità!
Mentre Flavio si prepara a tirare i tiri liberi, urlo agli altri in campo che, realizzati o no i tiri liberi, si difenderà a zona anche l’ultima azione, cercando di non fare falli stupidi.
La tensione è al limite per tutti i protagonisti: noi, gli avversari, il pubblico… Ma non per il mio giocatore in lunetta. Tira il primo, e segna “di straccio”. Le mie mani si stringono a pugno, e scarico un po’ di adrenalina. L’arbitro intanto consegna la palla per il secondo tentativo e… Flavio si ripete in modo perfetto anche nel secondo tiro: 65 a 63.
Non esultai. Cominciai a urlare, insieme a Gessi, per far disporre al meglio la difesa di quei due preziosissimi punti di vantaggio. Il cronometro ripartì con una rimessa per la Benetton a 24 secondi dal termine.
Palla a White, che palleggiando con la mano destra supera la metà campo. Ventuno secondi. Leo Menarini, in punta della nostra zona “Bottiglia”, lo affronta appena supera metà campo, cercando di costringerlo verso destra. 18 secondi. In un primo momento non riesce nell’intento, il suo avversario con un cambio di mano riesce ad andare
verso sinistra per tentare di passare la palla a Loschi, il loro tiratore migliore. 14 secondi. Leo riesce però a recuperare e riportarlo verso
l’altro lato. 12 secondi. A questo punto, White riesce a passare la palla nella posizione di ala, sempre a destra, al suo compagno Parisatti. 10
secondi. Quest’ultimo, essendo mancino non riesce a caricare né per tirare né per penetrare, in quanto Flavio gli preclude l’utilizzo della
mano sinistra, pressandolo da quella parte. 8 secondi. Mentre accade tutto questo, l’incontenibile taglia sotto canestro, proveniente dal lato
sinistro, e si posiziona nell’angolo destro fuori dall’area dove si sta giocando la palla e riceve. 6 secondi. “A lui no! Proprio no!”.
..Dalla panchina, io, Gessi e tutti gli altri urliamo di fermarlo. Nella nostra difesa a zona quell’angolo è di competenza del lungo di turno, cioè, in
quel momento, di Alex, il quale sta alla consegna ed esce per ostacolarlo chiudendogli la strada per andare a canestro. 5 secondi.
Flavio però, invece di rimanere nella sua zona di competenza, segue d’istinto il passaggio e va anche lui a chiudere il giocatore avversario in
angolo, cercando un raddoppio di marcatura non previsto. Lele Fin, che dal lato opposto aveva seguito il taglio, sempre di Zanata, vedendo libero il passatore mancino esce anche lui dall’area, pensando di ostacolare un eventuale ritorno della palla verso quest’ultimo. 3 secondi.
Mentre accade tutto questo, Leo Menarini, invece di rimanere nella sua zona di competenza sulla lunetta del tiro libero, si abbassa anche lui verso la palla. Due secondi.
A questo punto Zanata, pur pressato in angolo da due difensori, con un passaggio sopra la testa un po’ a parabola riesce a passare la palla a Loschi, il loro miglior tiratore, che furbescamente si era posizionato in alto fuori dall’aria, oltre la linea di tiro da tre punti, nella zona lasciata libera da Leo. 2 secondi… 1…
Loschi riesce a ricevere, tutto libero, ed effettua in tempo un tiro rapido da 3 punti. Tutti gli occhi fissano quel pallone, per tutta la sua traiettoria, dalle mani del ragazzo di Treviso fino al canestro – mentre suona la sirena di fine match. la palla arriva sull’obbiettivo, ma riesce solo a sfiorare il ferro davanti al canestro, per cadere e smorzarsi a terra con due rimbalzi sempre più flebili.
È Finita!
Il tabellone fissò il punteggio finale in rosso fuoco: 65 a 63 per NOI!
Al suono della sirena successe di tutto. In piedi e teso come una corda di violino, al fischio finale mi voltai di scatto e scaricai tutta l’adrenalina che avevo in corpo con un urlo disumano verso la nostra panchina che intanto si era svuotata dei ragazzi, scattati in campo come dei centometristi allo start per abbracciare i compagni esultanti in
campo.
Dopo questo mio gesto a rischio infarto, mi voltai verso il campo e, nel cercare con lo sguardo mia moglie sugli spalti, vidi di tutto: Andrea Bendini che correva impazzito per il campo con le braccia alzate in segno di vittoria e che abbracciava chiunque incontrasse; Sandro Fin che scavalcava con un salto, nello stile della vecchia pubblicità di un famoso olio, la balaustra che delimitava il campo da gioco terminando la corsa addosso al padre di Bendini e mettendoselo in groppa urlante; Marco Monari, che sceso anche lui in campo abbracciava un Giorgio Romagnoli incredulo; Fabio Carnevali che gridava e cercava di frenare le lacrime di gioia; le mamme dei ragazzi, che dagli spalti cercavano di incontrare lo sguardo dei figli per condividere tutta loro felicità.
Vidi a questo punto mia moglie, che non si era mossa dalla sua posizione sulla tribuna, accanto alla mamma di Marco Minetto. Le feci un cenno per dirle che stavo andando da lei, ma prima di me arrivò Francesco Mangiacotti che l’abbracciò festante. Quando si spostò la vidi piangere dall’emozione. A quel punto, l’abbracciai io!
Continua..
Sorry, the comment form is closed at this time.