Basket: 6°episodio de “I cinni del ’90”

Reclutamento dei rinforzi

Così, arrivò la fine della stagione agonistica 2002/03 – e che stagione! Avevamo vinto tutto quello che si poteva vincere: tornei, campionato provinciale e regionale di categoria, arrivando terzi assoluti alle finali nazionali del tre contro tre a Treviso. Ma la cosa più importante, per me, allenatore, fu constatare la crescita tecnica e umana dei ragazzi. Cosa si poteva volere di più? Già, cosa volere… Dal punto di vista sportivo avevamo raggiunto tutti gli obiettivi possibili. Per quell’annata non era allora prevista una fase nazionale: “Che peccato” mi dicevo, sempre in quei mesi. Sarei stato curioso di vederli giocare contro i ‘migliori’ ragazzi italiani. E la Pontevecchio sarebbe stata conosciuta ancor meglio a livello nazionale. Questi pensieri, legati a filo doppio con la “minaccia” fortitudina di prendere i nostri due giocatori più bravi, catturavano totalmente la mia attenzione. In quei giorni mi confidai con Gollini, Masetti, Rota e con il sempre disponibile e attento ingegner Fabio Carnevali. Con lui, in quei caldi giorni di inizio estate 2003, presi l’abitudine di chiacchierare quotidianamente (dalle 8:00 alle 9:30 del mattino) dei
“nostri ’90”. Trovammo un modo eccezionale per utilizzare il tempo perso nel percorrere le distanze casa/lavoro, con code quasi sempre presenti sulla tangenziale di Bologna; oppure, sempre diretti verso i distanti posti di lavoro, lui a Reggio Emilia e io a San Giorgio di Piano, percorrendo autostrade e tangenziali affollate da auto di pendolari come
noi. In una delle telefonate successive all’incontro con gli emissari della Fortitudo, sentii la necessità di esporre chiaramente – e solo a lui – il pensiero sulla situazione che si era venuta a creare con l’intesa fra le parti. L’accordo non era stato ufficializzato da nessuna scrittura, suggellato con una rapida stretta di mano. Ero convinto che la nostra controparte sportiva non avrebbe tardato molto a tornare alla carica per ottenere quello che voleva: Romagnoli e Fin.

«Fabio, secondo me non è finita qui. A loro non basterà avere ottenuto a parole una nostra collaborazione. Vedrai: in settembre torneranno alla carica per avere qualcosa di più concreto» iniziai al telefono, andando subito al nocciolo della questione. «Ma loro hanno promesso che se le cose procederanno come da accordi, alla fine tutta la squadra passerà sotto la Fortitudo, te compreso…» rispose. Interrompendolo, dissi: «Ci crederò quando lo vedrò. Non mi fido. Il loro obiettivo è uno. Anzi, due: Romagnoli e Fin. Dobbiamo fare in modo che questo non avvenga: il prossimo anno i ragazzi parteciperanno al campionato BAM Élite Nazionale, il che vorrà dire che, se ne saremo capaci, potremo competere con le migliori formazioni della categoria a livello nazionale. Per affrontare con tranquillità e al meglio questa nuova sfida, dovremo rafforzarci con uno o due elementi, in particolare con ragazzi che abbiano nell’altezza la caratteristica fisica significativa». «Lo sai che la Pontevecchio non può fare reclutamento, per via dei limiti territoriali e, soprattutto, per la mancanza di un budget economico adeguato. Però, mi dicono i ragazzi che c’è un certo Marco Minetto, che loro conoscono non so bene come e che potrebbe essere interessato a venire a giocare da noi. Abita nelle vicinanze del ponte della ferrovia in zona Dagnini, in via degli Orti. Mi dicono che è alto e ben messo, ma non l’ho mai visto. Giocava nella Fortitudo. Dico ‘giocava’, perché a un certo punto ha smesso di andarci, non trovandosi in sintonia con l’allenatore. Almeno, così dice mio figlio Enri». «No! Ancora la Fortitudo! Secondo te, ci darebbero il loro assenso per farlo venire da noi!?». Imperterrito, continuò: «Se è vero che Minetto non vuole più giocare in Fortitudo per i motivi che dicevamo, e sfruttando il fresco “accordo” di collaborazione, potremmo portare la cosa a buon fine, con le motivazioni seguenti: si tratterà, per noi, di un rinforzo; per la Fortitudo, del recupero di un ragazzo quasi dato per perso; e soprattutto, per il ragazzo e la sua famiglia sarà un buon modo per continuare felicemente il rapporto con il basket. Oh!, gli stiamo proponendo di venire a giocare con noi, che siamo i campioni regionali: non so se mi spiego!».

Concludemmo la telefonata in procinto di arrivare sui rispettivi posti di lavoro. Qualche giorno dopo mi decisi: telefonai a chi di dovere, e poi andai a parlare con la madre di Marco Minetto. Eravamo a fine luglio 2003. Due mesi dopo, Marco e la sua famiglia entrarono a far parte della squadra. A settembre, iniziammo come al solito gli allenamenti giornalieri: mattina e pomeriggio, fino al giorno dell’apertura delle scuole. Per i ragazzi fu l’ultimo anno del triennio delle medie inferiori, con l’esame finale a fine giugno 2004. Con l’arrivo insperato di Marco, la squadra era da considerarsi definitiva. Così io, Gegè Gessi e l’ormai inseparabile preparatore Francesco Mangiacotti incominciammo gli allenamenti tenendo conto di quello che avevamo preventivamente stabilito negli ultimi giorni di agosto. Convenimmo che dal punto di vista fisico avremmo dovuto lavorare molto sulla reattività, vista la differenza di stazza (nonostante l’arrivo di Minetto) tra i nostri ragazzi e le formazioni avversarie. Da un punto di vista tecnico, invece, stabilimmo di continuare a lavorare all’incremento e consolidamento dei fondamentali individuali offensivi e difensivi, dedicando una parte sempre più ampia degli allenamenti alle collaborazioni offensive (blocchi sulla palla) e difensive, con l’introduzione di una organizzazione a zona con “fronte dispari” che secondo me poteva essere adatta per il tipo di giocatori a disposizione. Avevamo già fatto una settimana di allenamento tecnico in palestra e atletico all’aperto, ed ecco che mi arriva Goffredo Gollini per parlarmi: «Senti… Mi ha telefonato la mamma di un ragazzo, un certo Davide Venturoli, annata ’90. Il ragazzino vorrebbe venire a provare. Giocava in zona Ospedale Maggiore, nel CMB. Cosa facciamo?». Quando Gollini mi poneva certi quesiti, sapevo già che avrebbe voluto che rispondessi positivamente. Provai a fare un minimo di resistenza: «Ma sappiamo come è? Alto, basso? E il gioco? Se giocava nel CMB, con tutto il rispetto, non penso sia un giocatore appetibile per la nostra squadra…». Come sempre, senza demordere, rispose: «Ah! Non lo conosco. Ma sua mamma mi ha detto che ha una grande passione per il basket e che vorrebbe venire a provare da noi. Visto che non siamo numericamente in tanti…».

Effettivamente, anche con Marco, non avremmo raggiunto le quattordici unità. Dalla squadra più giovane, i ragazzi del ’91, potevamo contare sul solo Giacomo Gnudi (che, peraltro, si aggiungerà al gruppo solo per le finali interzona, a Domegge di Cadore). «Va be’, proviamo a vedere com’è questo ragazzino. Fallo venire la prossima settimana» risposi, congedandolo. Così, anche Davide, ragazzo un po’ esile e ancora in crescita, ma con una voglia di giocare e mettersi in gioco pari a quella dei suoi nuovi compagni, venne a far parte della formazione granata. Bene, a questo punto eravamo al completo – sia dal punto di vista qualitativo che numerico: era giunta l’ora di iniziare una nuova avventura.

Continua…

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