Prepartita U14 Regionale: intervista doppia ai coach Ferraresi-Bonfiglioli

Domani alle 15 il derby fra le due squadre della famiglia amaranto

Si alza il sipario sul campionato U14 Regionale maschile e per la Polisportiva Pontevecchio il prologo sarà una sfida tutta in casa. Domani alle 15 le doghe della palestra Pertini saranno infatti il teatro del derby Pontevecchio-Castiglione Murri, due figli della stessa famiglia amaranto.

Per l’occasione abbiamo chiacchierato coi due allenatori, per spulciare i retroscena della sfida e le loro scuole di pensiero.

 

Pontevecchio-Castiglione Murri è la première del campionato e ci si auspica una festa per tutto l’ambiente amaranto. Nella veste di coach, cosa ti aspetti da questa sfida?

Mirko Ferraresi (Pontevecchio): “Mi aspetto che a fine gara tutti, a partire dai protagonisti, si siano divertiti, che abbiano vinto o perso, anche se divertirsi perdendo non è mai facile. L’importante è che a fine partita i miei ragazzi possano dire di aver dato il massimo avendo così rispettato gli avversari. Non è la prima volta che ci affrontiamo, l’anno scorso abbiamo giocato altri due sempre contro di loro. Un derby è sempre una partita un po’ particolare, a qualsiasi livello e ho sempre cercato di affrontarli nella maniera più vicina ai ragazzi, con la voglia di giocare a basket”.

Francesco Bonfiglioli (Castiglione Murri): “Domani farò una gran fatica visto il mio doppio ruolo. In quanto Responsabile Tecnico dei gruppi regionali dovrò valutare i gruppi e in quanto allenatore mi comporterò come chi non vuole perdere neanche a briscola. È sempre complicato. Scherzi a parte, ho allenato entrambi i gruppi e sarà un momento di festa che andrà vissuto come una crescita per tutti, anche perché i ragazzi si conoscono da anni. L’anno scorso dopo il derby di ritorno abbiamo fatto festa tutti assieme e domani non sarà certo da meno. Siamo due gruppi molto diverti, i miei sono sgangherati maragli, loro molto interessanti a livello fisico. Il mio è un gruppo da battaglia, con l’agonismo da underdog, mentre loro sono più bellini. L’anno scorso infatti hanno condotto un campionato molto regolare, mentre noi siamo arrivati alle loro spalle”.

 

 

Come descriveresti l’altro allenatore?

Mirko Ferraresi: “È una persona che non si tira mai indietro, che si diverte e si impegna a trasmettere la pallacanestro ai suoi ragazzi”.

Francesco Bonfiglioli: “Mirko è molto competente e ha molta esperienza di gioco. Gli ruberei la calma e la sua capacità di insegnare, mentre io sono un pallanuotista prestato al basket e ho un’attitudine differente, da quello sport ho pescato molto. Dal canto mio mi piace lavorare coi ragazzi, ma vorrei che crescessero a livello di autonomia, anche allenandosi da soli. Io e Mirko siamo coach diversi, io amo l’intensità e un po’ di pazzia, mi piacciono le bizzarrie e i giocatori che vanno per i fatti loro. I geni e i folli dovrebbero essere presenti in ogni squadra. Tuttavia ogni volta che vedo un suo allenamento imparo sempre qualcosa e coi suoi ragazzi ha un ottimo modo. È una buona guida per il gruppo”.

 

 

Preferisci allenare i più piccoli o i più grandi?

Mirko Ferraresi: “Decisamente i più giovani. È più faticoso, ma più gratificante. Gli U14 sono ancora delle spugne, è più evidente la loro crescita tecnica”

Francesco Bonfiglioli: “La domanda da porsi è se uno vuole fare l’istruttore o l’allenatore. Io posso stare in palestra dagli Esordienti in su, perché mi piace allenare la situazione, la lettura di gioco. I fondamentali sono fondamentali, ma mi piace applicarli sul piano pratico. Secondo me ognuno deve sapere quali sono i suoi limiti e credo ci siamo istruttori con molte competenze rispetto a un allenatore, parlo a livello di psicomotricità, ma non solo. Io infatti dagli Esordienti in su mi diverto molto, sotto mi sento impreparato”.

 

 

Come sta lavorando la Pontevecchio in ambito giovanile?

Mirko Ferraresi: “Direi che siamo sulla strada giusta, nonostante le tante difficoltà e i mille problemi che si presentano di giorno in giorno. Si può sempre migliorare, mai sentirsi appagati, pensare al bene e ai bisogni di questi bambini e adolescenti”.

Francesco Bonfiglioli: “La Pontevecchio sta lavorando molto bene, specie nel settore minibasket. A differenza di altre realtà non facciamo reclutamento perché non abbiamo una foresteria, il che spiega anche la differenza di risultati fra campionati regionali e quelli Eccellenza, nei quali soffriamo un po’ di più. In questo intendiamo migliorare per passare ad essere una realtà più cittadina e meno di quartiere. E inoltre vogliamo crescere dal punto di vista della comunicazione verso famiglie e genitori, perché è indispensabile far sapere loro che abbiamo allenatori di alto livello come Marco Carretto, o Raffaele Lepore”.

 

 

Dato che è un tema attuale, cosa manca al basket italiano, sia come movimento, sia come singoli talenti, per competere a livello internazionale?

Mirko Ferraresi: “È un discorso molto ampio e complicato, che non so se sono in grado di valutare. Ritengo che nel nostro campionato ci siano troppi giocatori stranieri. I giovani hanno bisogno anche di giocare, non di fare solo allenamenti. Se ricordo bene la stagione scorsa i nostri U18 sono arrivati secondi agli Europei, quindi abbiamo dei ragazzi su cui poter lavorare, ma se nei campionati nazionali non hanno più spazi, non possono crescere”.

Francesco Bonfiglioli: “Intanto bisognerebbe paragonare la routine di vita di un francese, uno spagnolo e un italiano. Se vogliamo pensare di costruire dei giocatori, al di là di ogni considerazione sul talento, bisogna capire quanto tempo un ragazzo può dedicare allo sport. Il secondo aspetto cruciale è pensare al suo modello di aspettativa sociale. Spesso pretendiamo che ci sia un’aspettativa immediata sui ragazzi, che prendano 8 in italiano e matematica, che siano al contempo in salute, belli, bravi e ben allenati. Quando gli si dà il tempo di far maturare le cose? Purtroppo, per come si è evoluta la società, non siamo disposti ad aspettare e credo che in Italia la costruzione si arrivata nelle realtà dove c’è stato il tempo per crescere, spesso realtà piccole. In altri sport gli esempi celebri sono Magnini, la Pellegrini o Tamberi, cresciuti in piccoli paesini funzionali a questo progresso, dove c’è una valutazione, una comunità che ti sostiene e un tempo differente per allenarsi e crescere. Spesso, infine, il problema è legato alla mancanza di un’etica del lavoro, essenza stessa dello sport, alla voglia immediata di un risultato e al non voglia di voler aspettare. Possiamo creare giocatori perfetti, ma il discorso a monte. Se i ragazzi non capiscono l’essenza dello sport non creeremo giocatori. E in questo senso, noi come Pontevecchio, stiamo lavorando sulla programmazione”.

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